Il Corriere ci propina un articolo sulla corsa alle elezioni presidenziali USA 2008 che inizia con il profetico titolo "
Quei sei punti in meno dovuti al fattore razza". Chi ha sviluppato un po' di acume socio politico sa già dove si va a parare, ma lasciate che vi offra una visita guidata a questa
bizzarra landa.
C'è un elefante nella stanza, ma nessuno vuole o può vederlo. Appare a sprazzi. Balena torvo durante un comizio di Sarah Palin in Florida, quando il sedicente «pitbull col rossetto» calunnia Barack Obama di «accompagnarsi a un amico terrorista» e dunque di «non vedere la stessa America che vediamo noi».
L'elefante sarebbe il razzismo, nel caso il sottile suggerimento fosse sfuggito al lettore. Nemmeno si può dire che la Palin abbia calunniato Obama, visto che la sua associazione col il terrorista non pentito Ayers è reale; Obama poi l'ha menata fin dall'inizio con il cambiamente, quindi è forse legittimo ritenere che la sua visione di America sia diversa da quella dei conservatori.
E subito, da un angolo nascosto del pubblico, esce quel grido, isolato e agghiacciante: «Kill him», uccidetelo.
Appunto, grido isolato: in ogni gruppo sufficientemente largo di persone si trova necessariamente qualche esaltato.
«La partita è finita?», chiede Anderson Cooper. «E' presto per dichiarare vittoria, perché Obama è nero», risponde senza perifrasi il guru David Gergen, consigliere di tre presidenti, da Reagan a Clinton.
Forse, dico forse, la partita potrebbe essere ancora apertaperchè a molti americani non piace il programma di Obama, fatto di socialdemocrazie europea all'interno e tranzismo all'estero. Oppure non apprezzano la vicinanza del candidato democratico a personaggi come Ayers. Ci sono diversi possibili motivi a parte il colore - per chi davvero non mette la razza davanti a tutto.
«Voglio essere chiaro — interviene James Carville, decano degli strateghi democratici —, non succederà, ma se Obama arriva a novembre con 6 punti di vantaggio e perde le elezioni, allora ci saranno conseguenze molto, molto, molto drammatiche». Pensa a rivolte e ghetti in fiamme?
"Siamo democratici, ma se il risultato delle elezioni non ci piace, scateneremo sommosse!" Chi si ricorda poi i sondaggi e le proiezioni del 2004 che davano Kerry per vincitore, e come hanno sbagliato clamorosamente?
[...]Se si votasse oggi, il candidato afro-americano vincerebbe a valanga. La promessa di libertà e di uguaglianza, scritta dai padri fondatori ma viziata dal peccato originale dello schiavismo, sarebbe finalmente compiuta, un secolo e mezzo dopo la fine legale della discriminazione.
Peccato originale: grazie per essere così candido nel mostrare il tuo punto di vista, o Autore. Obama, però, è mezzosangue figlio di un nero africano immigrato in tempi recenti e quindi per nulla imparentato con i discendenti degli schiavi.
Ma il dubbio serpeggia. L'elefante rimane. Troppo dirompente è la prospettiva che il giovane principe, col padre africano, la madre del Kansas e un nome sospetto, sconfigga l'eroe di guerra, che incarna l'America più tradizionale, bianca, anglosassone e protestante.
Hussein sarebbe il nome sospetto? Si, c'è qualcuno che ne fa un gran cosa, ma per me denota più la loro pochezza di argomenti che altro. McCain un tradizionalista? Molti conservatori lo disprezzano ritenendolo un sinistrato sotto mentite spoglie, un RINO (repubblicano solo di nome).
[...]Pure, una rilevazione fatta da Stanford University sostiene che se Obama fosse bianco, oggi avrebbe in media 6 punti in più nei sondaggi. «Ne avrebbe 20», suggerisce il pollster Charlie Cook.
Ora uno mi dovrebbe spiegare come sia possibile preparare un sondaggio anche solo semi-affidabile che possa dimostrare questa situazione - anche tenuto conto del fatto che, realisticamente, bisogna aspettarsi un margine di errore di circa 10 punti percentuali dai sondaggi. Ma naturalmente non servono né rigore statistico né onestà intellettuale per dimostrare l'assunzione di fondo: l'America è razzista.
[...]Per Nicholas Krystof, del New York Times, il rischio è quello del «razzismo senza razzisti», l'atteggiamento contraddittorio di moltissimi bianchi che credono nell'uguaglianza razziale, non hanno obiezioni all'elezione di un presidente nero, ma trovano altre ragioni per non votarlo: «E' un razzismo inconscio, la sindrome di "Indovina chi viene a cena"», dice Krystof, che però è ottimista e ricorda l'esempio del 1960, quando l'elezione di Kennedy dimostrò la fine del pregiudizio collettivo contro i cattolici.
Altre ragioni perfettamente valide, come il già citato disaccordo sui programmi, oppure la mancanza di esperienza e qualifiche del candidato, oppure la sua attitudine verso i nemici dichiarati degli USA e dei suoi alleati (vedi Iran). Ma no, qui si vede solo il nero.
[...]Per Sabato, il quale definisce «avventate» le parole di Carville, il «fattore razziale potrebbe al massimo sottrarre 2 punti al vantaggio di Obama», che secondo i suoi sondaggi è sopra gli 11 punti. «L'America — spiega il politologo ha fatto passi enormi dal punto di vista dei rapporti razziali, rispetto anche agli Anni Ottanta. E mi chiedo: in quale altro Paese al mondo, il rappresentante di una minoranza che è stata tenuta in schiavitù, sta per essere eletto presidente o primo ministro? ». Forse è il caso di incrociare le dita.
Di nuovo, che parentela ha Obama con i discendenti degli schiavi neri? E questa considerazione mi fa sorgere un dubbio: Obama è rappresentante solo dei neri, o anche del resto degli Americani? Mi piacerebbe saperlo.
L'articolo, nel complesso, è quasi comico perchè tentando di dimostrare come Obama sia svantaggiato da un pregiudizio razziale finisce per accettare bovinamente l'idea che sia necessario votare per un candidato nero (vabbè, mulatto, ma non è il caso di fare i difficili) soltanto perchè nero - come modo per i neri di conquistare il potere, e per i bianchi di espiare il loro peccato originale di razzismo
(Gli asiatici cosa divrebbero fare?). E se non è razzismo, dell'insidiosa varietà postmoderna questo, non so cosa lo sia.
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